La Grotta del Fiume

GROTTE E ARCHEOLOGIA

Autore: Dott.ssa Gaia Pignocchi

Delle oltre 100 cavità naturali conosciute nell’area di Frasassi e della Rossa (Bocchini 1990) solamente alcune sono state frequentate dall’uomo, principalmente a scopo abitativo ma anche a scopo cultuale e funerario (Pignocchi 2001; Pignocchi 2005; Pignocchi 2015).

Le testimonianze archeologiche, frutto di rinvenimenti occasionali o di scavi regolari, coprono un lungo arco di tempo, dal Paleolitico medio all’età longobarda, e sono localizzate all’ingresso delle cavità, tranne in alcuni casi, come nella Grotta del Fiume o nella Grotta della Beata Vergine di Frasassi, che risultano essere anche le principali grotte speleologiche, nelle quali l’uomo si è spinto un poco più all’interno.

  1. Ritrovamenti archeologici e paleontologici nella Grotta del Fiume

Nella GROTTA DEL FIUME ritrovamenti occasionali hanno permesso di scoprire tracce della frequentazione sporadica dell’Uomo durante il Paleolitico superiore, non tanto a scopo abitativo quanto piuttosto cultuale e votivo, mentre i resti ossei di alcune specie animali che vivevano nello stesso periodo si riferiscono probabilmente ad animali entrati volontariamente o accidentalmente nella grotta e morti per cause naturali.

La scoperta dell’ingresso della Grotta del Fiume avvenne, in maniera casuale, il 28 giugno 1948 da parte di Mario Marchetti, Paolo Beer e Carlo Pegorari del GRUPPO SPELEOLOGICO MARCHIGIANO: https://www.frasassigsm.it/la-scoperta-della-grotta-del-fiume/

Solo dopo 23 anni, il 25 settembre 1971, alcuni componenti la generazione successiva del Gruppo Speleologico Marchigiano scoprirono, ad una quota molto più elevata, l’ingresso alla Grotta Grande del Vento riuscendo ad entrare nel cuore della montagna.

https://www.frasassigsm.it/category/la-vera-storia/

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L’ingresso alla Grotta del Fiume al livello del torrente Sentino (foto Gaia Pignocchi)

La Grotta del Fiume, con due ingressi che si aprono quasi al livello del corso attuale del torrente Sentino (ca. 200 m slm), poco al di sotto della strada statale, è una grotta ricchissima di concrezioni che si sviluppa su più piani ad andamento labirintico, dove è facile perdersi. Comunica con la Grotta Grande del Vento, scoperta dal Gruppo Speleologico di Ancona il 25 settembre 1971. Qualche mese prima, nel luglio 1971, un gruppo del CAI di Jesi aveva scoperto, entrando dall’ingresso al livello del Sentino, il passaggio verso i rami più interni della Grotta del Fiume, aprendo la strada al collegamento con la Grotta Grande del Vento attraverso la cosiddetta condotta dei Fabrianesi.

La Grotta del Fiume doveva avere anche altri accessi suborizzontali situati ad una quota maggiore rispetto a quelli attualmente noti, formatisi quando il fiume scorreva ad un livello superiore e che sono stati utilizzati sia dall’uomo sia dagli animali almeno fino al Pleistocene superiore. La comunicazione della grotta con l’esterno avveniva forse anche attraverso camini ed inghiottitoi verticali, naturalmente non praticabili dall’uomo e dagli animali che però potevano caderci accidentalmente. In entrambi i casi gli accessi sono stati ostruiti da detriti e frane e nascosti dalla folta vegetazione.

Gli Stambecchi della Grotta del Fiume

La Grotta del Fiume ha restituito un gran numero di resti ossei animali, molti dei quali scoperti nell’agosto 1971 da speleologi del G.S. Città di Jesi in occasione dell’esplorazione di nuovi rami della cavità (Coltorti e Sala 1978).

In una grande sala, chiamata in seguito “Sala delle Ossa”, furono rinvenuti i primi gruppi di resti ossei purtroppo asportati da altri gruppi di speleologi che in quel periodo frequentavano assiduamente la grotta.

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I pochi resti faunistici conservatesi sono stati consegnati all’Istituto di Geologia di Ferrara per la determinazione. Tra i reperti, tutti di stambecco, vi è un cranio in ottimo stato di conservazione, oltre ad alcuni frammenti di costole e di vertebre, alcune falangi e una epifisi di tibia che per le loro dimensioni vengono attribuiti a individui piuttosto grandi di età würmiana che vivevano nella zona in un ambiente di tipo periglaciale, quando la copertura vegetale molto scarsa rendeva accessibili anche i più piccoli ingressi alla grotta. Gli animali potrebbero essere entrati intenzionalmente attraverso gli accessi orizzontali oppure essere caduti accidentalmente attraverso i camini verticali.

Il cranio di stambecco rinvenuto nella Grotta del Fiume
Il cranio di Stambecco ritrovato nel 1971 nella Grotta del Fiume (da Coltorti e Sala 1978)

Il cranio, nonostante sia mancante di buona parte delle corna e presenti alcune fratture, è ben conservato e non ha deformazioni da schiacciamento. Si tratta di un individuo femminile di oltre 12 anni.

Con la fine della glaciazione würmiana e l’inizio della fase temperata le condizioni ottimali di vita vennero loro a mancare, in particolare nella zona appenninica dove gli stambecchi diminuirono fino ad estinguersi, rimanendo circoscritti all’area alpina.

 Il cranio di Stambecco della Grotta del Fiume: oggetto di culto nel Paleolitico?

In un ramo della Grotta del Fiume, oggi di difficile accesso e non più collegato direttamente con l’esterno, alla fine degli anni ’80 è stato scoperto, ad opera del GSM di Ancona e di Fabriano (AA.VV. 2000), anche un cranio di stambecco isolato, deposto su una bassa stalagmite insieme a manufatti in selce e a resti di carboni, le cui datazioni al C14 hanno rivelato un’età di 13.500 anni BP.

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Rinvenimento di un cranio di Stambecco in un ramo della Grotta del Fiume, Genga-Ancona (da AA.VV. 2000)

Il campione, prelevato da SANDRO MARIANI (Gruppo Speleologico di Fabriano) nel 2002, è stato fatto datare al Laboratorio AMS Van de Graff dell’Università di Utrecht da ALESSANDRO MONTANARI (Osservatorio Geologico di Coldigioco) (Mariani et al. 2007).

La deposizione del cranio, probabilmente intenzionale, e la scarsità di reperti indica che questo luogo potrebbe essere stato frequentato da un gruppo di cacciatori del Paleolitico superiore per pratiche di culto con valenza simbolica piuttosto che come ricovero per attività di tipo quotidiano.

 Gli Orsi bruni della Grotta dell’Orso-Grotta del Fiume

Nella GROTTA DELL’ORSO, che probabilmente fa parte dello stesso reticolo carsico della Grotta del Vento-Grotta del Fiume, sono stati rinvenuti, oltre a numerosi resti ossei di stambecco, anche resti di Orso bruno (Ursus arctos) (Coltorti e Sala 1978). Questi animali, forse penetrati nella grotta per il letargo invernale, sono quindi morti al suo interno per cause naturali.

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Zampa di Orso bruno al Museo Speleopaleontologico ed Archeologico di San Vittore di Genga (foto G.Pignocchi)

In particolare l’esemplare esposto al MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE DELLE MARCHE di Ancona apparteneva ad un giovane individuo di Orso bruno con una malformazione genetica della spina dorsale (Sala 1991).

Una ricostruzione di Orso è anche al MUSEO SPELEOPALEONTOLOGICO ED ARCHEOLOGICO di San Vittore di Genga.

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Ricostruzione di scheletro di Orso al Museo Speleopaleontologico ed Archeologico di San Vittore di Genga (foto G.Pignocchi)

Impronte di Orso nel fango

In altre diramazioni della Grotta del Fiume sono state individuate anche numerose impronte di Orso delle caverne-Ursus speleus o di Orso bruno-Ursus Arctos eccezionalmente conservatesi sui depositi fangosi portati dal fiume Sentino allorché scorreva a quote superiori (Bocchini e Coltorti 1974; Bocchini 1990).

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Impronte di Orso lasciate nei depositi fangosi della Grotta del Fiume (da Bocchini e Coltorti 1974)

Le impronte sembrano appartenere tutte allo stesso individuo probabilmente penetrato in questa zona da un ingresso ora ostruito.

L’Orso delle caverne si è estinto circa 20.000 anni fa in concomitanza con il peggioramento climatico dell’ultimo picco glaciale. La sua scomparsa non sarebbe dovuta solamente al clima troppo rigido e al cambiamento della vegetazione, ma anche alla mancanza di grotte e ripari dove svernare ed andare in letargo in quanto occupati dai cacciatori del Paleolitico superiore (Homo sapiens sapiens).

A differenza dell’Orso bruno, ancora esistente, che vive in habitat aperti e non è esclusivamente vegetariano, l’orso delle caverne è infatti maggiormente legato all’alimentazione vegetariana e alla necessità di trovare ricoveri in grotta il letargo.

Bibliografia

AA.VV. 2000. I Quaderni del Parco 3. Il mondo sotterraneo, Fabriano.

Bocchini A., 1990. Le grotte e la preistoria della zona di Frasassi e della Rossa. In: S. Galdenzi, M. Menichetti (eds), Il Carsismo della Gola di Frasassi, Memoria Istituto Italiano di Speleologia, 4, pp. 199-210.

Bocchini A., Coltorti M. 1974, Unghiate e impronte di “Ursus Speleus” nella grotta del Fiume nella Gola di Frasassi (Ancona), Atti XII Congresso Nazionale Speleololgia, Rass. Spel. It. 12, pp. 138-141.

Coltorti M., Sala B., 1978. Resti fossili nella Gola di Frasassi. Natura e Montagna, anno XXV, fasc. 1, pp. 37-31.

Mariani S., Mainiero M., Barchi M., van der Borg K., Vonhof H., Montanari A., 2007, Use of speleologic data to evaluate Holocene uplifting and tilting: An example from the Frasassi anticline (northeastern Apennines, Italy). Earth and Planetary Science Letter, 257, pp. 313-318.

Pignocchi G. 2001, Fabriano (AN). Schede per località, Picus, XXI, pp. 211-246

Pignocchi G. 2005, Genga (AN). Schede per località, Picus, XXIV, pp. 371-386.

Pignocchi G., 2015, La frequentazione delle grotte della Gola di Frasassi e della Rossa in età pre-protostorica tra ricerca archeologica e speleologica. In: De Nitto L., Maurano F., Parise M. (a c. di) Atti XXII Congresso Nazionale di Speleologia – Euro Speleo Forum 2015 “Condividere i dati”, 30 maggio – 2 giugno 2015, Pertosa – Auletta (SA), Memorie dell’Istituto italiano di Speleologia, Serie II, vol. XXIX, pp. 535-540.

Sala B. 1991, Genga (AN) – Loc. Grotta di Frasassi, in Lollini D., a cura di, Museo Archeologico Nazionale delle Marche. Sezione preistorica. Paleolitico-Neolitico, Falconara, pp. 24-25.

 

 

 

 

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