LA SCOPERTA
(Come un sogno divenne realtà)
Autore: Giancarlo Cappanera, speleologo del Gruppo Speleologico Marchigiano C.A.I di Ancona.
INTRODUZIONE.
Il vero motivo per il quale è stato messo in rete questo sito web è quello di cercare di soddisfare, senza filtri ed a scopo puramente divulgativo, le curiosità dei tanti visitatori che varcano per la prima volta il tunnel di accesso alla “Grotta Grande del Vento” di Frasassi (Genga-Ancona-Italy), in primis quella di sapere “da chi, perchè e come” questo meraviglioso mondo ipogeo è stato scoperto e poi esplorato per la prima volta.
Chi sfoglierà le le pagine del Sito Web al quale siete collegati potrà anche scoprire il fascino di tutti gli aspetti della Speleologia a partire dalla grande attrazione che suscita in coloro che amano la natura, la scienza e l’avventura; per chi desidera poi praticarla sarà d’obbligo un approccio rigoroso che richiede, sempre e comunque, un addestramento preventivo tramite Corsi tenuti da Istruttori qualificati di solito inseriti in strutture associative esperte e riconosciute.
Il Territorio, la natura e l’uomo sono un connubio indissolubile pertanto si è ritenuto opportuno inserire in questo Sito anche le informazioni di tipo ambientale, culturale, storico e logicamente turistico sulla meravigliosa zona carsica di FRASASSI.
Per verità storica, anticipo e affermo, essendo incontestabilmente il testimone più attendibile perchè presente, che il vero scopritore del foro d’ingresso che ha consentito di entrare nella “Grotta Grande del Vento” di Frasassi è stato un mio giovane allievo che frequentava un corso di introduzione alla Speleologia, ROLANDO SILVESTRI.
Solo a lui va il merito di questa scoperta e anche se altri speleologi del Gruppo Speleologico Marchigiano C.A.I di Ancona (e non solo) hanno poi effettuato la prima esaltante esplorazione di questo meraviglioso mondo ipogeo, senza la sua fortunata indicazione chissà quanti decenni sarebbero forse ancora trascorsi prima di fare questa scoperta.
Ecco come abbiamo scoperto la
“Grotta Grande del Vento” di Frasassi
Tutto iniziò quando, a partire dal 23/5/1971, fui l’istruttore del “1° Corso di introduzione alla Speleologia” organizzato dal Gruppo Speleologico Marchigiano C.A.I. di Ancona per addestrare nuove leve di coraggiosi appassionati che la nostra azione di “proselitismo” aveva richiamato.
Durante una lezione, solo per colpire la fantasia dei giovanissimi partecipanti, raccontai la “favola” del Foro degli Occhialoni, due grandi buchi che trapassano la montagna quasi sulla cima del Monte Frasassi, nel versante della Gola opposto a quello dell’attuale entrata turistica alla grotta. Dissi che era possibile supporre che questo residuo di grotta potesse avere avuto in passato un proseguimento (alla stessa altezza) nel Monte Valmontagnana che si erige nel versante di fronte perchè l’acqua del fiume Sentino, sciogliendo il calcare e scavando le grotte, aveva tagliato in due tutto il massiccio formando la Gola di Frasassi.
La storiella, perchè tale fu, finì li.
Un giorno di metà settembre 1971, ritornando a casa in treno da Rimini, dove lavoravo, alla Stazione di Fano incontrai Rolando Silvestri, un giovanissimo partecipante al corso di speleologia da me tenuto. Durante il tragitto verso Ancona, parlammo di tante cose, naturalmente di grotte e del fatto che da qualche tempo non frequentava con continuità le lezioni. Rolando rispose con una serie di scuse poco convincenti, poi mi disse:
“Sai Giancarlo, non è vero che ho dimenticato la speleologia; alcuni giorni fa sono stato a Genga accompagnato dal mio amico Umberto Di Santo con il quale mi sono arrampicato sul monte Valmontagnana fino all’altezza del Foro degli Occhialoni che sta ma nel versante opposto. In un punto ho trovato dei piccoli buchi che entravano nella roccia, uno in particolare mi è sembrato che proseguisse”.
Conoscevo bene quella zona, ma buchi “di particolare interesse” non ne avevo mai visti. L’ostinazione con la quale Rolando insistette, anche nel dubbio, mi fece sorgere alcuni sospetti che allora non avrei mai confidato a nessuno per il timore di essere giudicato, primo dai miei vecchi compagni di grotta, un credulone troppo fantasioso.
Accantonando le mie presunzioni di “vecio speleologo”, e senza una motivazione sostenibile, feci allora l’atto di fiducia umana più ispirato della mia vita: organizzai per il sabato successivo una estemporanea spedizione di ricerca nell’ambito del Corso di Speleologia.
Quel giorno erano con me Giancarlo Cappanera, i miei giovani allievi Rolando Silvestri, Giorgio Lacopo, Franco Ranzuglia e Massimo Cartechini.
Era sabato 25 settembre 1971 quando la spedizione da me guidata, dopo avere verificato anche altre piccole aperture, si concentrò sul buco principale trovato da Rolando Silvestri che si era presumibilmente aperto per lo scivolamento del terreno superficiale di riporto, essiccato a causa delle elevate temperature di quell’estate. Il foro sembrava una tana con un’entrata grande circa come un pallone di calcio e, dopo averlo liberato a mani nude dalla terra e sassi che ne ostruivano l’angusto ingresso, constatammo che sembrava veramente inoltrarsi direttamente all’interno della montagna.
Con molta difficoltà strisciammo dentro un ambiente che si allargò fino a diventare grande poco più di una stanza le cui dimensioni erano di circa 6 metri per 3. L’entusiasmo mio e dei compagni crebbe immediatamente e ci mettemmo subito a vedere se esisteva una prosecuzione che però non fu trovata. Nella stanza non si apriva nessun cunicolo percorribile.
Dissi: “Pazienza ragazzi, comunque sia è un bel risultato visto che per la prima volta, a questa altezza e con direzione verso il cuore della montagna, abbiamo trovato un’entrata a conferma della teoria dell’esistenza interna di una grande grotta”.
Era giunta l’ora del pranzo, così, tutti sudati e un pò delusi, ci sedemmo appoggiandoci alle pareti ai margini della stanza.
Appena mi sono seduto a terra, appoggiato proprio nella parete più interna, provai un’immediata sensazione di freddo dietro la schiena sudata che attribuii banalmente all’umidità della roccia; poco dopo però non riuscii a finire di commentare ad alta voce il fatto evidente che il fumo delle sigarette, fumate da due miei giovani compagni, si stava disperdendo molto rapidamente nonostante l’entrata dall’esterno fosse molto piccola, quando gridai imitato dagli altri:
“C’è circolazione di aria !!! la grotta ha una prosecuzione molto grande!!”
Nel lampo di quell’istante però nessuno di noi si rese subito conto che stavamo vivendo un momento magico ed irripetibile della nostra vita, della mia certamente.
Con le sigarette accese, dopo avere dato una boccata di fumo profondissima, spalancammo uno ad uno la bocca a ridosso della parete dove mi ero appoggiato poco prima, constatando senza ombra di dubbio, che il fumo veniva disperso violentemente a causa di un forte passaggio d’aria che fuoriusciva da alcuni piccolissimi fori.
Impazziti dalla gioia concentrammo tutte le nostre luci in quel punto e con attenzione verificammo che parte della parete era essenzialmente formata da una paleo frana composta da materiale di riporto fortemente compattato.
Iniziammo subito a scavare con i pochi attrezzi a disposizione.
Stava per arrivare la sera ed il lavoro non procedeva così celermente come avremmo voluto. Dovevo decidere se continuare o tornarcene tutti a casa.
Sempre più emozionato, con i brividi che non mi abbandonavano, sentivo addosso la responsabilità di una “cosa” ancora sconosciuta ma che il mio intuito da speleologo immaginava già grandissima ed allora ebbi l’idea di mandare due di noi a chiamare Giuseppe Gambelli ed altri compagni che stavano continuando gli scavi alla non vicina Grotta della Speranza.
Dopo molto tempo, a sera già inoltrata, arrivarono gli amici che avevo mandato a chiamare.
Neanche a farlo apposta, la corrente d’aria che ci aveva guidato non si sentiva più a causa probabilmente della variata pressione atmosferica esterna.
Tutti i componenti la squadra di rinforzo, a partire da Giuseppe, sebbene entusiasti anche loro della scoperta, dovettero crederci sulla parola ed iniziarono anche loro i turni di scavo. Come si può immaginare nessuno era disposto a mollare, l’eccitazione era alle stelle e scavammo con tutte le nostre forze.
Dopo una serata di frenetico lavoro, verso le 22, sfondammo il diaframma (profondo circa due metri) nel fronte di frana che ostruiva il “Passaggio del Vento“. Nessuno riuscì ad infilarsi dentro il piccolo buco di pochi centimetri che eravamo riusciti ad aprire. All’interno non si vedeva quasi nulla, intravedemmo solo una piccola porzione di parete anche perchè il vento era tornato a circolare in maniera così violenta che spegneva tutte le lampade ad acetilene ed impediva quasi di tenere gli occhi aperti.
Una meravigliosa sensazione che dopo tanto tempo, ho ancora presente e “viva” sul mio volto.
Era fatta, eravamo certi di avere intrapreso la via per entrare all’interno della montagna; ci pervase una gioia incontenibile mista a tante speranze.
” Che nome mettiamo alla grotta? “
Nell’indecisione generale, ahimè, proposi di chiamarla “Grotta del Vento”, un nome nella logica degli eventi ma che in seguito la grotta stessa ci dimostrò essere troppo comune e banale tanto che cercammo, anche per la necessità di distinguerla da altre cavità con lo stesso nome, di nobilitarlo con l’aggiunta, in modo questo si azzeccato, del termine “Grande”.
A tanti anni di distanza ancora mi mordo la lingua per questa “leggerezza”; la nostra grotta meritava un nome più degno che però neanche i miei compagni, nei giorni successivi, ebbero la fantasia di proporre. Peccato…
Sabato 02 ottobre tornammo attrezzatissimi (ed in tanti) con palanchi, picconi, pale, scalpelli e martelli. Dopo essere in breve riusciti ad allargare sufficientemente il cunicolo, tentammo di “armarlo” con una pesante tavola che ci eravamo faticosamente portati dietro. Il mio recente incidente alla “Grotta della Speranza” consigliava di essere prudenti essendo coscienti che avevamo aperto il passaggio all’interno di un fronte di frana.
L’operazione non riuscì perchè, per farlo, dovevamo scavare un vero e proprio tunnel.
Però Fabio Sturba, il nostro più bravo esperto in strettoie, liberandosi di quasi tutti i vestiti e con un coraggio da leone, riuscì ad entrare faticosamente nel buco. Dopo alcuni istanti di silenzio assoluto, avendolo visto scomparire, preoccupati urlammo il suo nome.
Ancora secondi di terribile silenzio, poi sentimmo Fabio che… rideva a crepapelle!!!
“Continua, continua ragazzi! …potete entrare tutti…! “
“E come?”, chiesi.
Fabio rispose: “passatemi un palanchino, abbiamo fatto lo scavo fortunatamente sulla sommità della frana, sopra la volta ci sono solo 20, 30 centimetri di materiale”.
Risata generale!!!!
Sfondata la volta, in un batti baleno passammo tutti dal “passaggio del Vento”.
Le pareti nere e le pisoliti rinvenute nel primo piccolo ambiente visitato ci indicarono chiaramente che la strada era quella buona…
Dopo pochi metri ci disperdemmo, alla ricerca di un passaggio, in una bella e grande sala che puntava verso l’interno di Valmontagnana.
Non poteva, non doveva essere finita lì.
“Ma non continua!”, gridò qualcuno.
Piero disse: ” Guardate in quel buco lì in alto, forse c’è un passaggio!”
Fabio iniziò faticosamente ad arrampicare per raggiungere il punto indicato. Passarono alcuni minuti, io mi trovavo alla base della paretina oggetto delle nostre attenzioni quando, distraendo lo sguardo da Fabio, vidi che vicino e sopra di me si apriva, a salire, uno stretto taglio nella roccia; mi arrampicai in contrasto in un camino ed appena due metri sopra vidi, prima una luce, e poi, quasi rischiai di sbattere il casco con quello di Fabio che nel frattempo aveva raggiunto la sua mèta attraverso l’altro meno agevole passaggio.
Arrivati urlando in un grande balcone, poi denominato “Sala del Trono”, scendemmo, anzi ci… gettammo in un pozzo di circa 10 metri alla cui base, poco dopo, raggiungemmo un enorme pozzo poi battezzato, per acclamazione ed in onore della nostra città, “Ancona“.
Dopo il ripetuto rituale ” lancio del sasso “, tendente a stabilirne approssimativamente la profondità, per la sensazione di avere trovato un salto “quasi senza fondo”, nell’euforia e sul momento lo definimmo con il termine geologico errato di “abisso”.
Applicando infatti con un calcolo mentale una nota formula matematica, i cinque secondi circa passati prima di sentire il rumore del sasso “atterrare” sulla la base, ci fecero stimare che il vuoto di fronte a noi era profondo almeno 100 metri.
Purtroppo ancora oggi resta questo appellativo di “Abisso ANCONA”, ma non tutti i mali vengono per nuocere, perchè, la fantasia popolare con questo termine recepisce più facilmente l’immensità e la grandiosità del salto e dell’ambiente ipogeo.
Avevamo raggiunto il cuore della grotta. Il nostro sogno e la nostra “Speranza” si erano realizzati in questa impresa.
Alcuni di noi, emozionati e commossi, avevano gli occhi lucidi ed io non dimenticherò mai la felicità che prorompeva dai volti dei miei compagni.
In quei momenti, risuonarono in me le parole che tante volte avevo pronunciato percorrendo a naso in su la Gola di Frasassi: “Beati coloro che entreranno per primi all’interno del “grande vuoto” di Monte Valmontagnana!!” mai però mi sarei immaginato, neanche nei miei sogni più arditi, che sarei stato io uno di loro.
Mi piace ora ricordare al paziente lettore che nella settimana successiva alcuni di noi, io compreso, fummo colpiti da violenti attacchi di febbre in assenza di una patologia manifesta che, in seguito, anche qualche medico ipotizzò essere la conseguenza della fortissima emozione provata.
Domenica 03 ottobre, fatta la scelta ragionata su chi doveva avere l’ambita precedenza nella discesa, solo la sorte compose la prioritaria formazione dei fortunati:
1° Maurizio Bolognini
2° Fabio Sturba
3° Giancarlo Cappanera
4° Giuseppe Gambelli
Sull’orlo del pozzo, alla guida di Pietro Pazzaglia e di Leonardo Rotini, erano presenti quasi tutti i componenti del G. S. M e nessuno ebbe nulla da ridire.
Maurizio Bolognini, con indomito coraggio e cosciente di vivere un momento storico per tutti noi, scese nel vuoto 70 degli 80 metri di scalette allora disponibili senza avere però modo di vedere il fondo perchè l’ultima tratta di 10 metri risultò inutilizzabile per via della sorprendente ed inaspettata rottura di un gancio di giunzione. La voce emozionata e lontana di Maurizio che gracchiava dal walkie talkie ci comunicò questa notizia che fece accapponare a tutti la pelle e ci rese totalmente consapevoli della grandiosità della scoperta.
Il 10 ottobre 1971 con 120 metri di scalette metalliche approvvigionate in gran fretta, Maurizio Bolognini e Fabio Sturba, discesero per la prima volta e toccarono il fondo del pozzo Ancona. Lo stupore già grande, divenne immenso quando apprendemmo dalle loro voci che erano discesi in un’ambiente tra i più vasti mai scoperti, talmente esteso che con la potente torcia subacquea a disposizione non si riusciva a delinearne i contorni. Questa prima brevissima esplorazione servì esclusivamente per renderci conto del contesto ambientale della cavità e per individuare possibili punti di prosecuzione da esplorare in seguito. Una cosa fu subito certa, eravamo discesi in quello che molto probabilmente era da ritenersi il centro di tutto “l’edificio ipogeo” del sistema carsico di Monte Valmontagnana.
Sabato 16 ottobre Bolognini, Sturba, Cappanera e Gambelli, con l’aiuto e lo sforzo determinante di altri sedici compagni restati in appoggio sul bordo del pozzo, effettuarono la prima grande spedizione esplorativa.
Noi quattro fortunati, ancora impazziamo dalle risate ricordando che, travolti dalla felicità e dalla emozione, in un primo momento cercammo di andare ancora più in profondità “infognandoci” in un difficile cunicolo cieco.
Solo dopo esserci ripresi dallo sbandamento, iniziammo a realizzare quanto era immensa e gigantesca la grotta in cui ci eravamo calati.
“La maestosità delle stalagmiti giganti ci lasciò sbalorditi”.
La cavità proseguiva con una meravigliosa sala lunga oltre duecento metri, poi arrivati
alla “Sala delle candeline”, il nostro stordimento emozionale arrivò alle stelle.
“Abbagliati dalle splendide, candide visioni che da ogni lato ed in ogni direzione si presentavano di fronte a noi, vagammo ammutoliti camminando su immacolati pavimenti di cristallo che il nostro cuore non voleva calpestare ma le nostre gambe violavano senza sosta all’inseguimento affannoso delle scoperte dei nostri occhi”.
Chi ha la fortuna di visitare oggi la grotta per la prima volta, può immaginare solo in parte quali furono le nostre sensazioni.
Terminata questa prima esplorazione, raggiungemmo sfiniti la scaletta per ritornare fino al ciglio del pozzo dove, con grandi sforzi, e battendo il tempo con il titolo della canzone allora in voga “Brigitte Bardot“, gli altri compagni facilitarono la nostra faticosa risalita, che durò circa 30 minuti, tirando la corda a cui eravamo assicurati.
Avevamo deciso di tenere segreta la notizia della scoperta per qualche settimana per poterci godere, dopo tante fatiche, la grotta tutta per noi. Ma qualcuno di noi, non si seppe mai chi, violò questo patto… Già dal 6 ottobre la notizia apparve nella prima pagina del “Corriere Adriatico“, ma certamente nessun lettore potè avere allora l’esatta cognizione dell’eccezionalità della scoperta.
Fortunatamente questo articolo però consentì, a scanso di equivoci, di attribuirci storicamente e pubblicamente la paternità della scoperta. Immagino che l’anonimo autore di questo simpatico (allora poco gradito) “tradimento”, con il senno di poi, leggendomi, avrà detto giustamente: “Hai visto Giancarlo che ho fatto bene…!”
Le nostre esplorazioni continuarono per il resto dell’anno. In questa fase si distinsero particolarmente tutte le nuove leve del Gruppo, che assetate di emozioni e spinte segnatamente anche da Claudio Santolini, Tino Coffi e Stefano Fiori, fecero nuove ed esaltanti scoperte.
Ad ogni uscita si trovavamo nuovi piani e stupendi immacolati ambienti che alcuni di noi iniziarono a fotografare affinchè i nostri familiari vedessero ciò che fino a quel momento avevano potuto solo immaginare, vivendo, attimo per attimo, attraverso i nostri racconti, questa splendida favola.
Il nostro lavoro era appena incominciato, le dimensioni del complesso indicavano che ci sarebbero volute decine di anni per esplorare tutta la Grotta Grande del Vento poi divenuta nota turisticamente come “Grotte di Frasassi”.
Nel 2023, siamo lontani dal termine, è prevedibile che il Complesso carsico Grotta del Fiume-G.G del Vento si potrà sviluppare enormemente, oltre i circa 30 Km esplorati, non solo dal ramo “Fiume” ma anche dall’altro versante del monte quando sarà trovato il collegamento che teoricamente dovrebbe esistere con la quasi sovrastante Grotta del Buco Cattivo.
Ed ora vorrei svelare a tutti, ma in particolare ai giovani lettori, il motivo per il quale ci sentiamo ancora più orgogliosi di avere fatto parte di questo gruppo di amici tanto fortunati.
Allora come ora, non tutto andava liscio; le difficoltà organizzative ed economiche spesso ci portavano a polemizzare tra di noi. Salutari e costruttive dispute giovanili dove però mai nessuno ha anteposto il proprio interesse a quello del Gruppo. Il 3 luglio del 1971, durante un’assemblea del G.S.M, tra alcuni partecipanti e Maurizio Bolognini sorse una disputa su come superare alcune difficoltà organizzative. Messo in netta minoranza Maurizio, coerentemente reclamando il suo personale dissenso, da quel giorno iniziò ad astenersi dal frequentare il G.S.M ed a partecipare alle esplorazioni in corso.
Maurizio Bolognini quindi non era presente quando abbiamo scoperto la Grotta Grande del Vento di Frasassi ma noi, ritornando a casa domenica 26 settembre 1971 dopo avere aperto il foro attraverso il fronte della frana, non dimenticando le tante avventure speleologiche precedentemente vissute, lo abbiamo tutti pregato di ritornare. Per noi era irrefrenabile il desiderio di condividere anche con lui la meritata gioia, sentivamo che, senza di lui, non sarebbe stata bella come poi è stata, l’esplorazione della nostra grotta. E proprio a Maurizio l’estrazione a sorte ha concesso l’onore di toccare per primo il fondo del pozzo “Ancona”. Questo sentimento di amicizia è la cosa per cui andiamo più orgogliosi, questo è il nostro esempio che lasciamo, questa è stata la nostra vittoria più grande.
Mi chiedono spesso quali vantaggi abbiamo ottenuto dopo la scoperta della Grotta Grande del Vento e precedentemente, della collegata Grotta del Fiume: nessuno! Dal magnifico territorio di Frasassi abbiamo preso solo fotografie e lasciato unicamente le impronte dei nostri scarponi.
Aver dato la possibilità a tanta gente di provare ” emozioni ” ci ripaga di tutto.
La soddisfazione di quello che abbiamo fatto ci è bastata anche perchè la straordinaria esperienza vissuta ha cambiato, certamente in senso positivo e in vari modi, la nostra vita oltre a quella di tanti cittadini di Genga.
Infatti il risultato del nostro lavoro è stato il punto di partenza per il riscatto economico del territorio di Genga, già allora tanto bello ma poverissimo che, in seguito alla nostra scoperta, si è sviluppato in una comunità molto prosperosa traendo profitto dal fatto che le Grotte di Frasassi sono divenute uno dei poli più importanti del turismo marchigiano, oltre che un vanto del nostro patrimonio naturalistico nazionale.
La nostra città, Ancona, ci ha invece ringraziato tutti conferendoci – il 4 Maggio 1997 l’alto onore di un attestato personale di “Civica Benemerenza”, del quale andiamo tutti orgogliosissimi: io Giancarlo Cappanera, Rolando Silvestri, Pietro Pazzaglia, Leonardo Rotini, Fabio Sturba, Maurizio Bolognini, Giuseppe Gambelli, Gianni Cieri, Claudio Santolini, Costantino Cioffi, Mauro Bolognini, Stefano Fiori, Fabio Bentivoglio, Giorgio Lacopo, Mario Pia, Roberto Ragaglia, Franco Ranzuglia, Alberto Copparoni, Massimo Cartechini, Riccardo Bartulucci, Vittorio Bizzarri.
Nel 2013, esaudendo il nostro più grande desiderio, il Consorzio FRASASSI che gestisce le grotte, tramite la sensibilità del suo nuovo Presidente Gen.Cecchi e del Sindaco di Genga Menardoni, riconoscendo moralmente e definitivamente che sono stati gli speleologi del Gruppo Speleologico Marchigiano C.A.I di Ancona a scoprire il complesso carsico Fiume-Vento di Frasassi, ha inviato a tutti coloro che hanno partecipato all’impresa una preziosa tessera personale d’ingresso gratuito a vita alla Grotta Grande del Vento di Frasassi.
A seguito di questo formale riconoscimento, nel 2016 in occasione dei festeggiamenti per 45° anniversario della scoperta, a tutti i primi esploratori del G.S.M il Consorzio Frasassi (Direttore Marketing Maurizio Tosoroni) ha consegnato il prestigioso premio “Gocce d’argento”.
Il 25 Settembre 2021 in occasione dei festeggiamenti per il 50° Anniversario della scoperta della “Grotta Grande del Vento” il Comune di Genga ed il Consorzio Frasassi hanno consegnato a tutti gli scopritori una targa ricordo.
A noi speleologi del G.S.M rimane ancora un sogno da vedere realizzato, quello di sapere che le Grotte di FRASASSI sono state iscritte alla lista del “Patrimonio Naturale Mondiale dell’Umanità UNESCO”. Siamo tutti impegnati in questo progetto perchè solo così saremmo certi che si tramanderà veramente il senso profondo della nostra passione ottenendo, come scopritori, anche la garanzia di avere contribuito a preservare per le future generazioni una meraviglia mondiale della natura marchigiana.
“ Speleologi, portate il mio cuore giù negli abissi … e fatelo volare ”
Giancarlo Cappanera
“LE NOSTRE EMOZIONI”
La storia della scoperta raccontata dopo 50 anni da due speleologi protagonisti, Giancarlo Cappanera e Fabio Sturba.
Nota:
Tutte le fotografie originali dell’epoca inserite in questo sito web sono degli speleologi del Gruppo Speleologico Marchigiano, Maurizio Bolognini e Fabio Sturba.
P.S:
Chi è interessato a conoscere altri ulteriori particolari sulla scoperta delle Grotte di Frasassi può visitare, in questo sito web, la pagina dello stesso autore dal titolo “Storia del Gruppo Speleologico Marchigiano”.
Per ammirare altre stupende foto delle Grotte di Frasassi, visita la seguente sezione di questo sito: “Le straordinarie foto dei maestri della fotografia speleologica uPIx“.
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